di PASQUALINO PLACANICA - “Non mi piace l’ostentazione”. Ho sentito ripetere molte volte questa frase, in questi giorni, da tanti, amici, conoscenti e sconosciuti, riferendosi al Gay Pride del 19 luglio a Reggio Calabria. Molte di queste persone erano sincere, affermando di non gradire l’ostentazione senza particolari pregiudizi, altri erano in netta malafede, e si nascondevano dietro un più presentabile “non ce l’ho con loro ma...” rispetto al reale “ma che cosa vogliono questi pervertiti?”. Sinceri, dicevo, alcuni. Peccato che però non si capisca cosa c’entri la parola “ostentazione” con il Gay Pride, di Reggio o di New York.
Ostentare significa “Mettere intenzionalmente in mostra cose materiali, oppure qualità e sentimenti (anche non reali e non provati), allo scopo di suscitare l’attenzione, l’ammirazione, e spesso l’invidia, degli altri”. Non lo dico io, lo recita l’enciclopedia Treccani. Ora, non mi sembra che si possa affermare che lo scopo del Gay Pride sia quello di suscitare invidia o ammirazione. Anche perché se così fosse viste le polemiche sarebbe un fallimento ancor prima di iniziare. Nessuno potrebbe invidiare qualcun altro perché ghettizzato, irriso, oppure semplicemente rifiutato. E nessuno potrebbe affermare di essere uscito da una condizione di rifiuto solo perché ha fatto una sfilata, seppur variopinta e festosa. In malafede altri. Non c’è dubbio che l’affermare di non avere pregiudizi professandone apertamente alcuni non abbia altra definizione che questa: malafede.
Cosa c’è di strano, di tanto scandaloso, di così deprecabile, nello scegliere un giorno dell’anno per affermare (non ostentare) la propria esistenza in quanto essere umano con gli stessi diritti di tutti gli altri, compreso quello di festeggiare qualcosa? Affermare (non ostentare) la propria dignità, affermare (non ostentare) il diritto ad essere riconosciuti come parte integrante di una società che invece tende ad emarginare chiunque non risponda a degli standard ben precisi? Non molto tempo fa, un pazzo decise di eliminare fisicamente un intero Popolo, e quasi ci riuscì. Pochi ricordano che in quell’occasione oltre a quel Popolo furono sterminati anche altri cosiddetti “diversi” in quanto tali: zingari, malati mentali, handicappati e anche omosessuali.
Di tutte queste tipologie di cosiddetti diversi una sola ha avuto riconoscimenti a piene mani di quanto subito. Oggi in tanti paesi è addirittura reato negare che lo sterminio sia avvenuto o inneggiare ad esso, com’è giusto che sia. Oggi in varie occasioni nel corso dell’anno solare accade che venga celebrata in vari modi la Memoria di quanto accaduto, per quel Popolo. Giustamente, dico io. Oggi, però, contemporaneamente accade che ad altri uomini e donne che hanno subito le stesse atrocità a quei tempi e subiscono adesso discriminazioni giornaliere non possano secondo alcuni, molti purtroppo, neanche prendere un giorno all’anno per dichiarare di esserci (non ostentare) e rivendicare normali diritti umani senza costringere nessuno a subire alcunché.
Siamo sicuri che la cosiddetta “Memoria” che viene invece richiamata ben più di una volta all’anno, sia intesa nel vero significato che le si dovrebbe dare?