L’ultima (si fa per dire) ricostruzione della strage di Ustica la fece la trasmissione di Sigfrido Ranucci che si avvalse della testimonianza dell’avvocato Enrico Brogneri di Catanzaro che, la sera del 27 giugno del 1980, avvistò un aereo militare che volava a bassa quota in evidente stato di avaria. Sui giornali del tempo, però, non ci fu nessuna notizia di quel caccia, né di un atterraggio di emergenza, né di uno schianto contro il terreno. A farla semplice si trattò di correggere una sigla, Kfir al posto di Mig. Lo IAI Kfir (“Leoncino”) era un caccia multiruolo prodotto dalla israeliana Israeli Aircraft Industries. L’areo Mig (Mikoyan-Gurevich) era invece di produzione sovietica.
Se fosse stata vera (un briciolo di dubbio si poté concedere) la ricostruzione che fece la trasmissione Report di Sigfrido Ranucci sulla strage di Ustica, che s’è avvalse, appunto, della testimonianza di Brogneri, la fatica giornalistica di Purgatori, morto il 19 luglio 2023, poteva avere la giusta considerazione. Invece…
Alla trasmissione di Ranucci fu dato un sottotitolo, “Quinto scenario”. Che, poi, è il titolo del libro di Claudio Gatti, “Il quinto scenario. Atto secondo. I missili di Ustica. La strage del 27 giugno 1980.
Le risposte, dopo decenni di domande” (Fuoriscena, 2024), in cui - recita l’abstract - «Sono passati oltre quattro decenni dalla strage di Ustica e per la maggior parte degli italiani c’è un’unica certezza: il DC-9 dell’Itavia è stato il bersaglio di un attacco missilistico. Ma nella ricerca dei responsabili della strage si sono costruiti solo scenari privi di qualsiasi rapporto di conformità con la storia o la realtà geopolitica e militare, basati piuttosto su credenze ideologiche – “Sono stati gli americani”, si è detto, perché gli
americani sono ritenuti guerrafondai – ovvero su idiosincrasie personali – a lanciare la pista francese è stato l’ex presidente Francesco Cossiga, la cui figlia ha recentemente rivelato che “il babbo non era filo-francese, preferiva gli anglosassoni”.
A seguito della straordinaria mole di anomalie, insabbiamenti e menzogne di questa vicenda, si è vagato su terreni sconosciuti in cerca di qualcosa che non si capiva. Qual è stato il risultato? Nessuno scenario si è rivelato convincente, la magistratura non è riuscita a cavare un ragno dal buco e quello di Ustica è rimasto un «mistero». Dopo aver a lungo seguito questa stessa strada, Claudio Gatti ha deciso di cambiare approccio: si è chiesto quante altre volte nella storia dell’aviazione un velivolo civile è stato bersaglio di un agguato aereo in tempo di pace, e come sono stati spiegati eventuali casi equivalenti verificatisi prima del 1980. Ha così appurato che tali casi si contano sulle dita di una mano e ne ha dedotto che, essendo un evento quasi privo di precedenti, doveva avere un movente straordinario, che non dava spazio a piani alternativi. Ma la scoperta più sbalorditiva è stata che ogni caso equivalente è risultato attribuibile a un unico Paese: Israele. Cosa poteva scatenare un’azione di guerra su un’aerovia italiana? Agli occhi di chi lo governava ed era a capo delle sue forze militari, era in gioco la sopravvivenza stessa del Paese: ecco il movente più potente di tutti. Così è emersa la sola soluzione possibile al cosiddetto «mistero» di Ustica, l’unica conforme alla realtà storica, geopolitica e militare di quel momento». Sono passati 45 anni. Tanti gli scenari che si rappresentano ancor’oggi, compresa l’archiviazione.
Giovanni Spadolini, ministro della difesa dal 1983 al 1987, ebbe a dire che chi avesse risolto il giallo del Mig libico caduto sulle montagne della Sila avrebbe potuto capire la strage di Ustica. Non è bastato quasi mezzo secolo per conoscere la verità “ufficiale”, ma i dati si darebbero per acquisiti. La strage di Ustica, ovvero l’esplosione del Dc9 dell’Itavia, alle 20,59, durante il volo Bologna-Palermo avvenuta sul cielo di Ustica, è nota. Il bilancio del 27 giugno 1980 fu di 81 morti (di cui quattro erano membri dell’equipaggio).
L’incidente aereo, riscontrato il 18 luglio 1980 sull’altopiano silano, in zona Timpa delle Magare, in contrada Colimiti, a mezza costa di un canalone, nel Comune di Castelsilano (il paese sino al 1950 si
chiamava “Casino di Calabria”), coinvolse un MiG-23MS dell’aeronautica militare libica. Il corpo del pilota Ezzedin Fadah El Khalil venne ritrovato privo di vita poco distante dai rottami che poi furono raccolti dalla ditta dei Fratelli Argento di Gizzeria.
La pista calabrese restò, tuttavia, sempre calda se è vero che il 22 agosto 2016 il giornalista Andrea Purgatori, intervistò il maresciallo Giulio Linguante dell’Aeronautica militare che affermò che il Mig di
Gheddafi non fosse caduto il 18 luglio 1980 ma la stessa notte in cui cadde il veicolo civile. Chi allora, nel Marchesato, vide, costatò, intervenne, testimoniò, sui resti dell’aereo e sul pilota morto, dovette fare marcia indietro o tacendo o cambiando versione o parlando d’altro. In sostanza – si disse allora – che il registro comunale di Castelsilano fosse stato manomesso per certificare che l’aereo libico era caduto il 18 luglio 1980.
I rottami rinvenuti il 18 luglio 1980 erano divisi in tre tronconi principali, allineati da sud verso nord: coda, motore e resto della fusoliera con le ali a geometria variabile piegate oltre il massimo consentito a causa dell'impatto. Pezzi del muso erano sparsi nella parte alta del canale, mentre più in basso erano presenti altri frammenti. La zona interessata dall’incendio è la parte sinistra della fusoliera e il fuoco appariva innescato dai liquidi residui a bordo (olii, combustibile residuo e liquidi di raffreddamento).
Questa nuova incursione, se fosse confermata l’archiviazione, approderebbe nel nulla.