Il Bellum aeternum non è un destino

Il Bellum aeternum non è un destino

Tutto sembra congiurare verso il bellum Aeternum. Persino al di là della bergogliana profezia della “guerra mondiale a pezzi”. Chiediamoci: possiamo fare qualcosa per uscire dal bellum Aeternum? Sì, innanzitutto, capire quali ne sono le cause. Non parlo delle cause remote. Parlo dell’oggi, delle cause prossime, quelle all’origine delle guerre infinite che si stanno consumando in Europa e in Medio Oriente, simbolo per eccellenza del bellum Aeternum.

Queste cause prossime sono la Russia di Putin, l’Occidente americano, il messianismo apocalittico di Hamas e di Israele.  L’Onu non può materialmente impedire alla Russia, ad Hamas, ad Israele, di fare quello che stanno facendo.  Può però cominciare a dire quale è la sciagurata dottrina che alimenta il bellum Aeternum. Nominarla, combatterla idealmente, politicamente, giuridicamente.

La dottrina che alimenta il bellum Aeternum si chiama sfera di influenza. La pretesa imperialistica delle grandi potenze. La proclamazione di un “diritto” di intervenire attraverso la forza militare, la leva economica, l’ingerenza politico-culturale negli “affari interni” degli Stati più deboli e di subordinarne gerarchicamente la sovranità.  Il “diritto” degli Usa di interferire negli affari interni del Messico, il diritto della Russia di interferire negli affari interni di Ucraina, Moldavia, e così via. Un diritto di intromettersi nella “vita degli altri”. Un diritto illegittimo che, tuttavia, trae alimento da un’esigenza legittima.

La necessità delle grandi potenze di prevenire un accerchiamento ostile, il diritto ad una sfera di sicurezza. Distinguere tra legittimo diritto alla sicurezza e illegittimo diritto alla sfera di influenza ha un valore semantico, politico e giuridico: chiarisce – lo ha limpidamente spiegato Jeffrey D. Sachs – ciò che dovrebbe essere accettato come legittimo, il diritto alla sicurezza, e ciò che dovrebbe esserne bandito, il diritto ad una sfera di influenza.

Una sfera di sicurezza è il riconoscimento della vulnerabilità di una potenza alla potenziale ingerenza di un’altra potenza. Non si riferisce al dominio, ma al legittimo interesse difensivo di una potenza di impedire alle alleanze rivali di stabilire basi, operazioni segrete e sistemi d’arma ai propri confini. Gli Usa non dovrebbero avere bisogno di controllare il governo messicano per rivendicare che i missili russi o cinesi non dovrebbero essere stazionati lì. La Russia non dovrebbe avere bisogno di dettare la politica interna dell’Ucraina per far sì che le infrastrutture della NATO non si spostino in Ucraina. Un’Ucraina neutrale, sovrana, democratica che si impegna a non ospitare basi militari della NATO o della Russia, rispetterebbe la sfera di sicurezza della Russia sfuggendo alla sua sfera di influenza e proteggerebbe, allo stesso tempo, l’Ue dall’espansione verso ovest delle basi militari e dei sistemi d’arma russi.

 Sicurezza reciproca, una dottrina che, se desideriamo uscire dal bellum Aeternum, dovrebbe valere anche per la periferia marittima della Cina e per il Medio Oriente. Non si tratta di utopia, ma di apprendere dalla storia. La Dottrina Monroe nella sua forma originale (1823) era una dottrina di sicurezza reciproca: l’Europa rimaneva fuori dagli affari delle Americhe e l’America si impegnava a rimanere fuori dagli affari europei. Il Corollario Roosevelt (1904) del presidente Theodore Roosevelt reinterpretò drasticamente la Dottrina Monroe, affermando che gli Usa avevano il diritto di intervenire nelle nazioni latinoamericane che non soddisfacevano gli standard di governance “civilizzata”, avevano il diritto di subordinare gli Stati più deboli alla supervisione degli Stati Uniti.

Nel corso del XX e XXI secolo, la dottrina è diventata un mandato per ripetuti interventi statunitensi, cambiamenti di regime e controllo, una sfera di influenza statunitense autoproclamata e definita, non una sfera di sicurezza[1]. Una sfera di sicurezza enfatizza gli allineamenti esterni piuttosto che le interferenze interne. E conferisce dignità ad un terzo diritto: la neutralità per gli Stati più piccoli intrappolati tra grandi potenze. La neutralità rispetta le preoccupazioni di sicurezza dei loro potenti vicini senza sottomettersi al loro dominio.

La dottrina Monroe in salsa trumpiana è una sorta di dottrina Monroe 4.0. Un’altra forma di imperialismo, violenta come le guerre ibride, le guerre commerciali, tecnologiche, finanziarie per coloro che non si adeguano alla geografia dei “confini à la carte”. Panama, Golfo americano, Canada cinquantunesimo Stato a stelle strisce, non sono la manifestazione di una esuberanza partorita in un momento di incontinenza. E la Groenlandia, al di là del suo specifico valore per i materiali che contiene (terre rare, petrolio, gas, ecc.), è un paradigma del trumpiano mondo open space. Il simbolo di ciò che l’amministrazione statunitense pensa delle altre nazioni e degli altri popoli quando li considera uno strumento per i suoi special interests.

Ricorrono quest’anno i 50 anni dalla firma dell’Atto finale di Helsinki. Quell’Atto conteneva un decalogo di principi in tensione tra loro: la non-ingerenza negli affari interni, il rispetto dei diritti umani; l’integrità territoriale e l’autodeterminazione dei popoli. Gli Stati di entrambi i blocchi accettarono un pacchetto che li comprendeva tutti, sottolineando così l’importanza della disponibilità al dialogo e al compromesso. L’anniversario dell’Atto finale dovrebbe indurci a riflettere. Il bellum Aeternum non è un destino.

*prof ordinario uniUrbino