LA STORIA. Falcone e la Procura Antimafia, l’ultima sconfitta di un magistrato solo

LA STORIA. Falcone e la Procura Antimafia, l’ultima sconfitta di un magistrato solo
falcone e mattarella   In Italia accadde tutto nel 92, l’anno in cui s’impiantarono le radici che producono ancora frutti, nel bene e nel male, nelle vicende del nostro paese. Di Pietro pizzicò un personaggio minore che aveva intascato una mazzetta da miserabili: e fu la tsunami di Mani pulite. Ci furono le elezioni e Pds e Psi si trovarono quasi testa a testa. La mafia uccise Giovanni Falcone che gli aveva assestato, con l’evidente obiettivo più che di far giustizia di cancellarla dalla società italiana, colpi che mai nessuno aveva prima osato. Ed uno dei protagonisti di quell’anno fu Agostino Cordova, procuratore della Repubblica di Palmi, il magistrato reggino che sequestrò tutti gli elenchi della massoneria italiana per un’inchiesta, scrissero i giornali, che avrebbe fatto tremare l’Italia fin dalle sue fondamenta. In realtà, non tremò niente. L’indagine si disperse nel nulla. Per alcuni, bloccata da poteri forti. Per altri, perché sarebbe stata solo un coacervo di suggestioni.

Ma Cordova non fu un protagonista del ’ 92 per l’indagine sul Grembiulini. Fu al centro, invece, di uno scontro che mobilitò l’intera magistratura, la politica e le istituzioni italiane, giornalisti e uomini di cultura: la lotta che venne combattuta per impedire a Giovanni Falcone di diventare procuratore nazionale antimafia, per fargli pagare opinioni e gesti che Falcone aveva consumato (e gli costeranno la vita) e che la sua corporazione osteggiò con durezza e determinazione.

Ma procediamo con ordine. Nel ‘ 92 bisogna eleggere il Procuratore nazionale antimafia istituito dalla legge che ha creato la Direzione Nazionale Antimafia (Dna). La gara, per un bel tratto, è proprio tra Cordova e Falcone coi rispettivi sostenitori anche loro impegnati a difesa dei propri interessi. Falcone ha lasciato Palermo dopo un periodo travagliato cominciato con la bocciatura del Csm che gli preferisce Meli quando Caponnetto va in pensione da Consigliere istruttore. Sono in troppi, nel Palazzo di Giustizia, a remargli contro: non certo per favorire Cosa nostra quanto per scontri furibondi di carriere e potere che vanno oltre il Palazzo.

Falcone fa la mossa del cavallo: accetta la proposta di Claudio Martelli, ministro della giustizia in conto Psi, che lo vuole a Roma. Il trasferimento viene vissuto, dagli ambienti politici, culturali e giudiziari palermitani – gli stessi con cui avrebbe polemizzato Sciascia in un articolo che venne titolato “I professionisti dell’antimafia” - come un vero e proprio tradimento, una rinuncia di fatto allo scontro contro i clan mafiosi.

Cordova, in Calabria, pochi giorni prima delle elezioni del ‘ 92 fa perquisire le abitazioni di circa 300 boss della ‘ ndrangheta per sequestrare il materiale elettorale che possiedono e scoprire quali sono i candidati delle cosche. I socialisti calabresi denunciano una manovra contro di loro. Il presidente Cossiga reagisce duramente e avverte che potrebbe denunciare i magistrati calabresi al Csm. Uno dei candidati di An-Msi a cui sequestrano i volantini, ma non c’entra nulla con la 'ndrangheta, si suicida per la vergogna. Lo scontro s’indurisce. Da un lato, i socialisti; dall’altro, gli ex comunisti del Pds.

Ma torniamo alla Dna per la cui direzione si fronteggiano Falcone e Cordova. L’emergenza mafiosa e gli omicidi eccellenti hanno fatto diventare urgente la sua istituzione. Ma su come concepire una struttura che si occupi solo del crimine organizzato ci sono opinioni diverse.

Falcone che ha fatto esperienze preziose nella lotta al crimine americano, punta a un centro unificato capace di affrontare con un coordinamento reale centralizzato lo scontro contro le cosche. Vuole che «i vari uffici di Pubblico ministero procedano concordemente in maniera omogenea, senza farsi le “scarpe” reciprocamente, senza personalismi, senza protagonismi, ma in una visione d’insieme moderna», dice a Radio Praga (fonte, M. Falcone, Rizzoli, 2012). I magistrati gli saltano addosso, a partire da Magistratura democratica. In alcuni c’è la preoccupazione che una struttura del genere possa indebolire l’autonomia del Pm sottraendogli le indagini ogni volta che i poteri forti intervengono. In altri, gioca una preoccupazione più concreta: la possibile sottrazione delle indagini che vanno sui giornali e concedono visibilità e carriera. Falcone sembra molto più avanti di tutti i suoi colleghi. E’ già arrivato alla «consapevolezza che la mafia costituiva un fenomeno pericoloso per la tenuta stessa dell’ordinamento democratico» (idem, D’Ambrosio, 162). Vuole uno strumento per una sfida risolutiva contro la mafia. Ma la Dna che verrà fuori alla fine sarà una cosa di qualità diversa. Nei fatti, un rispettabile ufficio studi che annualmente invia una relazione al Parlamento. Insomma, anche questa volta Falcone viene isolato. L’uomo com’è noto, non è amato dai suoi colleghi e ogni volta che sarà costretto a misurarsi con loro o col Csm verrà duramente sconfitto. Del resto, come potrebbe essere diversamente con un magistrato che ripete ai quattro venti che per sconfiggere la mafia è necessaria la separazione delle carriere in magistratura e sostiene che il Pm dovrà diventare l’avvocato dell’accusa?

Cordova e Falcone sono i due candidati al posto di Procuratore della Dna. Entrambi, per motivi diversi, nei lunghi mesi che precedono il 23 maggio del ’ 92, sono quotidianamente sulle prime pagine della grande stampa. Ma intanto è accaduto un fatto nuovo. Tutti (o quasi) gli ex amici di Falcone che scrivono sui giornali e le testate che lo hanno sostenuto, quelli che lo hanno a lungo osannato e fatto personaggio, gli sono ostili. Cresce la schiera di quelli che nascondono un’avversione durissima coprendosi dietro l’inopportunità che un magistrato che lavora col ministro (Martelli, per giunta del Psi di Craxi) occupi quella poltrona; per non dire dell’intero blocco dell’opposizione politica e culturale al Psi. Cordova, intanto continua a macinare le sue due grandi indagini, quella che vede al centro un grande pezzo del Psi calabrese, e l’altra sulla massoneria. Nel frattempo il vecchio fronte che lo aveva a lungo sorretto isola sempre più il suo rivale Falcone.

Il 26 febbraio la Commissione referente per gli incarichi direttivi del Csm (avete indovinato!) boccia Falcone e promuove Cordova come candidato a procuratore antimafia. Serve il “Concerto” del Ministro ed è fatta. Martelli perde tempo, non dà il Concerto necessario bloccando la pratica.

La partita la chiude Cosa nostra il 23 maggio del 1992 facendo saltare in aria Falcone, la moglie Francesca e tre uomini della scorta.

L’Unità il 22 luglio del 1992 titola un’intera pagina: “Chi non mi vuole alla Superprocura?”. Sono le dichiarazioni di Cordova che denuncia l’ostruzionismo e il mancato Concerto alla sua elezione. Ma ormai è cominciata la corsa a santificare Falcone. Cordova, avversario di Falcone, non può più diventare Procuratore. Verrà nominato Bruno Siclari, prestigioso magistrato a Milano (originario di Reggio). Cordova da Palmi farà il salto a procuratore di Napoli, una delle poltrone più ambite nella magistratura.